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Storia dei vini

dell'antico Marchesato di Saluzzo

La storia della viticoltura locale, risale a tempi antichissimi, lo testimoniano la pietra riprodotta a fianco e i reperti archeologici di epoca romana ritrovati a Costigliole. A far conoscere il vino alle popolazioni di origine celto-ligure sono stati gli etruschi nel VIII secolo a.C. e successivamente i Greci dal VII e VI secolo a.C. I Celti introdussero l'uso delle botti di legno, leggere e molto meno fragili delle anfore; ancor oggi molti termini del lessico piemontese ad esempio "bunsa" e "brich" sono di origine celtica. Con l'occupazione romana la viticoltura ebbe un notevole sviluppo, ma a seguito delle invasioni barbariche subì un declino.

Documenti indelebili

Insegna di osteria in pietra

Nuova ripresa della viticoltura sotto il dominio Longobardo con la fondazione delle abbazie di San Costanzo al Monte a Villar e quella di San Colombano a Pagno, per poi ricadere nel buio a causa delle scorrerie dei saraceni che osteggiavano le bevande alcoliche, molto probabilmente furono loro ad introdurre nell'area pendemontana vitigni come il moscato ed il quagliano, ottimi come uva da tavola. Attorno al mille, con la scacciata dei saraceni, le nostre terre ebbero un notevole sviluppo demografico con il conseguente recupero dei terreni agricoli.

Le vie del vino

Buco di Viso voluto da Ludovico II

Con la nascita del Marchesato di Saluzzo nel 1142 e il rifiorire delle arti e dei mestieri, pure l'agricoltura ebbe una notevole espansione ed è del 1268 la prima citazione di vigne impiantate a Nebiolium. A metà del XV secolo una terribile peste dimezzo il numero degli abitanti del saluzzese, dimezzandosi conseguentemente i consumi. Essendo assai florida la viticoltura, si ebbe una grande quantità di prodotto invenduto, è così che la lungimiranza europeista del marchese di Saluzzo, Ludovico II, per migliorare la rete viaria fece iniziare la perforazione del Buco di Viso, primo traforo transalpino. Con la sistemazione di queste opere i mulattieri del marchesato trasportavano i vini saluzzesi nelle vicine montagne del Queyras dove veniva scambiato con manufatti di lana o prodotti caseari che venivano trasportati e smerciati sulla Costa Azzurra. Al ritorno i due piccoli barili (circa 42 litri) venivano utilizzati per il trasporto del sale.

Numerosi i vigneti

Valba Paradiso del 1761

Durante la pomposa cerimonia d'insediamento, del Marchese Michele Antonio, per festeggiare degnamente l'arrivo del nuovo marchese, oltre ai balli e a un ricco banchetto, c'erano delle botti dalle quali era possibile spillare vino negro e vino bianco, per tutto il giorno a volontà. Il conte Giovanni Andrea del Castellar nel suo Charneto, scrive che la Marchesa Margherita di Foix donò a Papa Giulio II ...una trentena di botalli (hl 120) di bon vino di Pagno e del Castellaro e che il bon vin tanto gli piasia a lo Papa. Tant'è che nel 1511 elevò Saluzzo a città dotandola della cattedra episcopale. All'inizio del 1700, le continue guerre contro i francesi, ed una terribile ondata di gelo nel 1709, fecero si che la viticoltura locale si riducesse notevolmente. La parola Quagliano in riferimento all'uva si trova per la prima volta nei bandi campestri della città di Busca, pubblicati il 5 giugno del 1721, nuovamente lo ritroviamo sempre nei bandi campestri del comune di Costigliole del 1749.

Basto

Basto per il trasporto del vino

Nel bollettino ampelografico del Ministero per l'agricoltura del 1879, risulta che il Quagliano era diffuso in tredici comuni della provincia di Cuneo. Anche il Marchese di Rovasenda, insigne ampelografo, fa il Quagliano particolarmente diffuso sulle colline di Costigliole e Busca. L'avvento della fillossera, distrusse interi vigneti, facendo si che buona parte del germoplasma viticolo autoctono andasse perso e dei vecchi vitigni di Tadon, Avareng, Perpeuri ecc. ne rimasero solo pochi esemplari sparsi qua e là, con grave nocumento al patrimonio colturale e culturale.

Oggi

Quagliano spumante vincitore di 5 Douje d'or

La nostra viticoltura va salvaguardata, perché è in grado di fornire un prodotto pregevole e tipico, un vino di nicchia. Inoltre l'opera di vigilanza e di gestione del territorio fornita dai viticultori, con la sistemazione del terreno e la loro continua presenza, è indispensabile, pure è un patrimonio di grande valore culturale a testimonianza del tenace lavoro dell'uomo.